Educazione alla felicità (3/3)
Abbiamo parlato precedentemente di come la scuola fornisca idee e valori per interpretare la realtà e di come sia necessaria una trasformazione della “cassetta degli strumenti” che la società contemporanea fornisce ai nostri ragazzi, mostrandone alcuni nuovi paradigmi che vanno in questa direzione. Ci siamo lasciati con una domanda: l’educazionepuò aiutare a costruire una società più “felice”?
Oggi, tra i fini dell’educazione la FELICITA’ non è contemplata. Anzi, secondo Claudio Naranjo “L’Educazione spesso è processo di addomesticamento che ci fa perdere l’allegria”. A parere degli antichi Greci, invece, la paideia (educazione, appunto) era un aspetto fondamentale non solo per lo sviluppo socio-politico ma psico-sociale dell’essere umano, aspetti non considerati separati: persone “informate” ma non mentalmente ed emotivamente mature non sono in grado di superare le difficoltà intrinseche della vita e divenire responsabili della propria felicità. E dato che la polis è fatta dalle Persone, in primis da quelle che la governano, la stessa comunità che ne risulta sarebbe in pericolo. Servono persone “sagge” che sappiano cioè “vedere le cose come sono”, che sappiano individuare così le vere cause del male e del bene e possano evitare le prime e coltivare le seconde. Solo così posso accorgermi di qual è il mio ruolo nel generare felicità o infelicità nella mia vita; e solo così una polis sopravvive.
Lo ha capito bene L’ultimo Re del Buthan, Jigme Singye Wangchuk, che ha negli anni ‘70 ha sostituito l’indice del Prodotto Nazionale Complessivo (PIL) con quello di Felicità Nazionale Complessiva (FIL), divenuta obiettivo della sua linea politica di governo. Lo stesso ideatore del PIL per altro, Kutznets, nel 1934 ne aveva tutti i limiti intrinseci, a partire dal fatto che promuove una crescita senza limiti mentre le risorse della terra sono finite. A partire dalla considerazione che le diverse crisi di cui sopra non solo sono problemi separati ma un malessere generale causato proprio dei modelli politici ed economici più diffusi, il Buthan ha deciso di cambiare prospettiva e di promuovere la diffusione di modelli di comportamento più saggi, virtuosi e aderenti al VERO funzionamento della realtà: vasto, interconnesso e unitario. Come? Intervenendo sul sistema economico, sul rispetto delle identità e differenze culturali e… sull’educazione! Educare a cosa? In primis all’interconnessione.
Quando mi accorgo che i miei confini non finiscono con il mio io ma includono tutta la realtà, tutti gli esseri viventi, non posso che provare quel senso di profonda e imperturbabile felicità di cui da millenni fanno esperienza i mistici.
Non esiste più solitudine. Non esiste più nulla da prendere “sul personale”. E’ solo dal modo in cui significo gli eventi che dipende il mio stato d’animo.
Inoltre, quando agisco dalla pienezza agisco in modo virtuoso. Naranjo tratta approfonditamente il tema delle virtù morali (tra le quali l’Attenzione, la Quiete, il Distacco, l’Abbandono, l’Amore Empatico, la Devozione) specificando come esse non vadano intese nel senso del nostro moralismo: la virtù è uno stato interiore dal quale procede naturalmente il bene. I peccati, per contro (come Orgoglio, Avarizia, Invidia, Rabbia, etc), secondo gli antichi, era un “errore di prospettiva”, motivazioni che partono non da un senso di pienezza ma di carenza e che quindi ci guidano verso falsi obiettivi.
Perché? Si vive come mossi dal desiderio di riempire un vuoto al centro di noi stessi, generato dalla mancanza di amore incondizionato durante l’infanzia, che ci ha invece condizionati – appunto – a fare molte cose contrarie alla nostra natura nell’illusione di ottenere quell’amore. Dice Naranjo:
viviamo in uno stato di voracità, non di abbondanza. Siamo come poppanti, come larve che mangiano molto in attesa di divenire farfalle.
In conclusione…
Dunque, visto che si può fare, sia su piccola che su larga scala, non è forse arrivato il momento di insegnare ai nostri bambini com’è fatta davvero la realtà, come funziona la mente e come governarla correttamente perché non ci induca in errore, come significare la propria esperienza in modo da poter “agire bene”, nel rispetto di tutti – e quindi anche di sè – di modo che possano uscire dal bozzolo e volare verso la vera libertà e la vera felicità, durasse anche essa soltanto un giorno?
Secondo me sì. E non c’è più un solo secondo da perdere.